Per favore non mangiate le margherite

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  1. _Nicoletta
     
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    Da JEAN KERR,
    Per piacere non mangiate le margherite
    Oscar Mondadori

    Una donna moderna, un marito distratto e quattro ragazzini terribili: uno dei libri più divertenti della narrativa americana. Una serie di bozzetti divertenti ed ironici tratteggiati con mano sapiente da Jean Kerr, fortunata scrittrice ed autrice di commedie brillanti, scomparsa nel 2003. Descrizioni e racconti di vita quotidiana che fanno ridere e sorridere, animati da un umorismo sempre garbato e mai sopra le righe.


    CITAZIONE
    (dalle pagine 23-30)

    Noi c’interessiamo molto ai nostri bimbi. Non dovranno mai pagare a uno psichiatra venticinque dollari all’ora per scoprire perché li respingemmo. Glielo diremo noi perché li abbiamo respinti. Perché sono impossibili, ecco perché.
    Se mi guardo indietro, mi pare che tutto sia andato bene quando eravamo due a due. Noi ci sentivamo amati, protetti, sicuri. Ma adesso che loro sono quattro e noi due soltanto, le cose sono cambiate. Siamo in minoranza, non siamo più tanto robusti come una volta, ed è chiaro che non possiamo competere con questi individui tanto più giovani.

    Prendete Cristopher – e voi potete; ha appena otto anni. L’origine delle nostre difficoltà con lui sta nel fatto che lui si interessa del preciso valore delle parole quando a noi interessa soltanto che sollevi i suoi vestiti da terra. Io dico: “Cristopher, fai il bagno e metti tutte le tue cose a bucato” e lui dice “Okay, ma si romperà la Bendix”. Ora, a questo punto la sagace risposta sarebbe “Benissimo, e lasciala rompere”. Ma gli anni d’esperienza sono passati invano su me e io, con la consueta opportunità, indago “Perché si romperà la Bendix?”. Ed ecco la sua spiegazione “Bene, se metto tutte le mie cose nella lavatrice, devo mettervi anche le scarpe e queste certamente romperanno la macchina”. “Benissimo” dico, tutta dolcezza e controllo “metti tutto a bucato escluse le scarpe.” Lui afferra subito il mio tono accomodante, annunciando allegramente “Quindi vuoi che io metta la cintura nella lavatrice”. Non so cosa m’esca di bocca a questo punto, ma mio marito dice “amore, non devi urlare con lui in questo modo”.

    Un’altra versione di questa battaglia di semantica sarebbe:
    “Non tirar calci alla gamba del tavolo.” - “Non sto tirando calci, la sto appena toccando.”
    “Bene, non toccarla col piede.” - “Non è il mio piede, è la forchetta.”
    “Bene, non picchiare con la forchetta.”- “Non è una forchetta buona” ecc. ecc.

    Cristopher è uno strano ragazzo da un alto punto di vista. Lo sorveglio dalla finestra della cucina. Con un rastrello da giardino in una mano s’arrampica su un albero, poi si spenzola su un lungo ramo e si lascia cadere sul muretto, grazioso e agile come uno scoiattolo. Mentre non può uscire dal soggiorno nella sala senza urtare almeno due mobili. (L’ho visto maltrattarne anche cinque, ma questa è roba da campionato e non può farlo ogni momento.)
    Ha un’altra caratteristica che sfida ogni analisi e anche le leggi di gravità. Può camminare nel centro di una cucina perfettamente vuota e inciampare nel linoleum. Suppongo che sia nel linoleum. Non c’è altro nella stanza (…).

    Proprio poco fa parlavo dell’epoca in cui loro erano due e noi due, pari. Nella mia affinità per le cifre tonde sto falsificando l’intero quadro. In realtà non ce ne furono mai due. Ce n’era uno solo e improvvisamente ce ne furono tre. I figli sono quattro ora, e per parecchi anni abbiamo avuto una specie di rete di protezione di ferro galvanizzato legato con corde, all’esterno delle finestre della loro camera da letto. Tutto questo conferisce un aspetto piuttosto istituzionale alla parte frontale della nostra casa e contribuisce alle inutili dicerie circa il mio stato mentale, ma questo tiene i bimbi lontani dal tetto, la cosa che ci preoccupa.

    Per quanto riguarda i gemelli sono molto dissimili. Colin è alto e attivo e Johnny è basso e possiede la saggezza di una persona anziana. Johnny non lancia con un calcio le sue scarpe, non ingoia i coperchi della birra, o strappa le pagine dall’elenco telefonico. Non credo che abbia mai fatto dei disegni col mio migliore rossetto per le labbra. Infatti non ha alcuna di quelle graziose, allegre qualità, particolari nei ragazzi, che precipitano in estreme scene di violenza in casa. D’altra parte, ha una spiccata sensibilità per l’ordine e una passione per l’organizzazione che sarebbero ardue persino in una perfetta governante. Se i suoi pigiamini sono appesi al terzo gancio nel gabinetto invece che al secondo, questo gli causa un reale dolore. Se una stecca della persiana veneziana è inclinata nella direzione sbagliata lui non ha un attimo di pace sin quando qualcuno non l’avrà fissata. Infatti, se un fagiolo nel suo piatto è leggermente più lungo degli altri lui a stento lo mangia. E’ difficile per lui vivere con noi altri. E viceversa.

    Colin è completamente diverso. Ha una leggerezza di tocco e una destrezza tale che certamente lo porrà a capo della banda se mai si darà a scassinare casseforti. Equipaggiato di un solo cucchiaio e di una vecchia carta smerigliata è capace di scardinare una porta in sette minuti e togliere tutti i portasciugamani dalla camera da bagno in cinque.

    Gilbert ha soltanto diciassette mesi ed è troppo presto per dire qualcosa di lui. (Per la verità dei fatti, possiamo parlarne, va bene, ma noi non siamo veramente pronti ad affrontarlo.) Ogni tanto riesce ad accalappiarci con i suoi sorrisi, i suoi gorgoglii e i suoi rotondi occhi blu, ma nulla di più. Sappiamo che sta solo attendendo il suo momento. Al momento attuale può solo mangiarsi i laccetti delle scarpe e inghiottire qualche eventuale bottone. Domani, il mondo intero.

    Il mio vero problema con i bimbi consiste nella mia assoluta mancanza d’immaginazione. Li metto sempre in guardia contro le banalità quando loro progettano il bizzarro e l’insolito.
    La domenica mattina Cristopher si alza prima di tutti noi e ha già avuto una lunga lista di direttive: “Non svegliare il piccolo”, “Non uscire col pigiama”, “Non mangiare i dolci prima della colazione”. Ma non gli ho mai detto: “Non fare la colla di farina e non attaccare insieme tutte le pagine della rivista Sunday Times”. Ora ho imparato che gli devo dire anche questo. Perciò, quando la scorsa settimana ho invitato gente a pranzo ho detto ai gemelli e a Cristopher di non andare in salotto, di non usare gli asciugamani per gli ospiti nel bagno, e di non lasciare le biciclette sulla scala principale. Tuttavia ho trascurato di dir loro di non mangiare le margherite che stavano sulla tavola della camera da pranzo. Questa fu una seria dimenticanza come scoprii appena mi saltò agli occhi il mio centro da tavola – una graziosa disposizione a tre punte di steli verdi. In realtà sto per andare da uno psichiatra per scoprire perché ho questo complesso di persecuzione… questa sensazione di essere continuamente accerchiata…



    (dalle pagine 167-174)

    Ogni volta che scorro le liste delle grandi donne della storia desidero sempre aggiungere il nome di una mia vicina di casa di Washington. Mi conquistò in una calda giornata quando, mentre passavo proprio sotto la sua finestra, la sentii dire, con un tono di voce dolce e musicale: “Michael caro, a mammina non piace che tu ficchi la bicicletta nel pianoforte.” Questo si chiama carattere. Questa chiama pazienza. Ora, se fosse stato il mio piano e il mio Michael…. Bene, meglio non parlarne, c’è già troppa violenza sui giornali.

    Ma eccoci al punto cruciale della questione. La punta massima della mia ambizione è d’insegnare ai miei bambini i semplici precetti della vita – “Togli le dita dal piatto” ; “Cambiati quando vai a letto”; “Stai lontano dalle Leggi Federali” – e comunque arrivare alla dorata mezz’età con la laringe intatta.

    Non dirò come io lotti per tenere la mia voce fuori di quell’acutissimo registro, che, mi si dice, solo i cani possono sentire; i miei ragazzi riescono sempre a scoprire la più lieve incrinatura nella mia corazza. Ad esempio, quando tocca a me svegliarli di mattina, io mi precipito per le scale (dopo sole tre ore di sonno), gaia e adorabile nella vecchia vestaglia di mio marito. Raccolgo le mie forze all’abbagliante vista di quelle impazienti e gaie facce. Dico a me stessa che è abbastanza naturale per i bambini essere di buon umore alle sette del mattino. Quindi decido di restare calma. Calma, avete inteso bene – calma. Perché io non sono forte e devo vivere in pace e – questo sì ch’è bello – tranquilla. La disciplina potrà venire dopo quando saremo tutti pronti.

    Così cerco tre scarpe spaiate, metto una nuova copertina sul sillabario di Col, scopo l’intera casa per una monetina di 32 cents e libero Gilbert, che è stato legato a una sedia con una cintura da cowboy mentre stavo cercando la moneta. Intanto trasudo un tale sciropposo buon umore che i bambini ne sono completamente terrorizzati. Mi sento dire, con l’accento freddo e indeciso di Betty Furness quando parla di un nuovo frigorifero: “Solo perché ha mangiato le vostre matite non c’è ragione di picchiarlo sulla testa con una bottiglia di petrolio”.
    Quando sono finalmente seduti a colazione, vedo i gemelli scrivere i loro nomi col burro sui sottopiatti di plastica. Ma rifiuto d’irritarmi. Quando tutti insieme decidono di fare sandwich con uova sode e grano soffiato, cerco di ricordarmi che dopo tutto sono solo dei ragazzini e una volta o l’altra possiamo anche spuntarla.
    Quindi vedo Cristopher rimuovere il succo di arancia con un vecchio pettine da tasca. A questo punto avverto un’esplosione nel cervello e il mio dolce, selvaggio acuto arriva sino a Mamaroneck (…).

    Un altro tormentoso aspetto dell’educazione dei bambini consiste nel fatto che, comunque, vi lasciano sempre la parte monotona del dialogo. Non è giusto che proprio “voi” dobbiate sentirvi un idiota. Nel discutere con un bambino di cinque anni correte un vero rischio: quello di incominciare a parlare come uno di loro in un batter d’occhio. Ammettiamo che sentiate un rumoroso, orribile fracasso provenire dalla camera da letto e urliate:
    “In nome del cielo, cosa è stato?”
    “Cosa?”
    “Quello spaventoso rumore.”
    “Quale rumore?”
    “Non l’hai sentito?”
    “No. Tu sì?”
    “Certamente, l’ho sentito. Se te l’ho detto:”
    “Cosa ti pareva?”
    “Lascia stare cosa mi paresse. Comunque smettila.”
    “Smettere cosa?”
    “Qualsiasi cosa tu stia facendo.”
    “Non sto facendo nulla.”
    “Smettila lo stesso.”
    “Mi sto lavando i denti. Devo smetterla?”
    Ovviamente questo porta alla pazzia. Personalmente, ho capito che devo vincere questa battaglia dialettica o ricorrere alle cure di uno psichiatra.
    Non prometto che la mia soluzione sia ottima in tutti i casi, ma qui in casa va abbastanza bene. Al momento attuale, quando sento quel fracasso, grido semplicemente con voce chiara e sicura: “Ehi tu! Alza da terra i pantaloni”.
    Logicamente mi baso sull’assoluta certezza che chiunque sia dovrà avere almeno un paio di pantaloni a terra. E il semplice movimento di sollevarli lo distrarrà, almeno per il momento, da qualsiasi cosa stia facendo. Per quanto riguarda quel fracasso, realmente non ne volevo conoscere l’origine. Volevo soltanto che smettesse.

    Detto tra noi, la cosa peggiore che possiate fare quando sgridate i bambini è mostrare la natura e l’entità della vostra disperazione. A esempio, non otterrete nulla mettendovi alla loro mercé e chiedendo pietosamente: “Vuoi far diventare pazza la tua povera mammina?”. Certamente che lo vogliono, ma credete che lo ammetteranno?

    Trovo tra le mie amiche molti esempi di quel genere di educazione incerta o “tira-molla”. La piccola Katie ha deliberatamente gettato una scatola, ancora chiusa, di latte evaporato sull’orecchio della mamma. La mamma a sua volta getta sul di dietro di Katie una pantofola. (Scelta eccellente perché, mentre causa uno spaventoso rumore, non danneggia affatto.) Tuttavia al primo accenno di lucenti lacrime sul nasino di Katie, la mamma si commuove, stringe il suo demonietto al seno, e mormora: “Mammina non ne aveva l’intenzione, non lo voleva proprio, brutta mammina, cattiva mammina”. E così di seguito.

    Ammetto di aver dovuto lottare contro quest’impulso anch’io in un’occasione veramente particolare. Quando i bambini erano veramente piccoli usavamo fare un giochetto: Io dicevo: “Siete miei amici?”. E loro rispondevano: “Io sono il tuo buono, sincero amico”.
    Beh, una sera quando i figli erano circa tre, ne misi due nella vasca e portai il pesciolino a letto. Mentre cambiavo quest’ultimo sulla sua tavolina, potevo sentire i gorgoglii e i tonfi di quello che pareva essere un grande spettacolo acquatico. Li richiamai parecchie volte, consigliandoli di smettere quella pazza cavalcata. Alla fine dovetti mettere il piccolo nella culla e precipitarmi nel bagno dove schiaffeggiai tutti i “popò” che mi trovai davanti (e restereste meravigliati dal numero di “popò” che possono avere un paio di gemelli).
    Poi, quando battei in ritirata nella stanza da letto, ci fu un pauroso silenzio – rotto alla fine da Johnny, che annunciò con fredda e sinistra voce: “Bene, da questo momento “lei” ha perduto due buoni, sinceri amici”.
    Confesso che l’enormità della mia perdita mi lasciò esitante, e snervata per qualche giorno.

    Eppure, le pene che potete soffrire dopo aver punito i vostri bambini non sono niente paragonate ai problemi che sorgono prima che li puniate. Proprio poco tempo fa, dopo che Cristopher era andato a scuola, scoprii che aveva usato il mio rossetto da labbra, ultima novità, per disegnare la mappa d’un tesoro piratesco sul pavimento del garage. Stavo proprio aspettando il suo ritorno per mettergli le mani addosso, quando arrivò alle quattro, tutto sorrisi e gorgheggi.
    E stavo appunto chiamandolo quando lo sentii chiedere a suo padre: “Ehi! Papà, dov’è la bella señorita?”.
    Ora voi cosa fareste in un caso simile? Dannazione, se lo so.

    Letto e riletto quando ero alle elementari.
    Riso moltissimo ^_^ :lol:
     
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