La dannosa inutilità della legge sul processo lungo

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  1. _Nicoletta
     
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    La dannosa inutilità della legge sul processo lungo

    di Marco Ottanelli

    L'approvazione al senato della cosiddetta legge sul processo lungo ci costringe a porci una serie di domande che, ci pare, l'opinione pubblica si sta fecendo :

    è una buona o cattiva legge?

    Quali effetti potrebbe avere?

    Napolitano dovrebbe/potrebbe rinviarla alle Camere, prima di firmarla?


    Proviamo a rispondere ai questi tre quesiti senza alcun pregiudizio, partendo dalla analisi della legge in questione.

    La norma era nata, su iniziativa della deputata leghista Carolina Lussana, con intenzioni del tutto diverse da quelle che ha assunto in questa ultima fase. Si trattava infatti solo di modificare il comma 2 dell'art. 442 del codice di procedura penale (relativo al rito abbreviato) impedendo, di fatto, di accedere alla riduzione della pena ai colpevoli di reati che comportino l'ergastolo (che oggi, con tale rito, viene tramutato in una condanna a 30 anni di reclusione).



    Ma, con gli emendamenti della maggioranza di governo (che ha poi addirittura posto sull'insieme degli stessi la questione di fiducia), la norma è stata completamente modificata, tanto da vedersi cambiare il titolo da “Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo” al ben più articolato "Modifiche agli articoli 190, 238-bis, 438, 442 e 495 del codice di procedura penale e all'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354" . Un complesso mutamento del codice di procedura penale volto a permettere la ammissione di più prove e più testimoni a discarico dell'imputato (quindi a suo favore).

    È una buona o una cattiva legge?



    La “bontà” di una legge non può che essere edotta dalla sua capacità di razionalizzazione del sistema e dalla sua portata di giustizia. In questo specifico caso, appare piuttosto evidente che la razionalizzazione regredisce a favore, piuttosto, di una complicazione delle procedure. Il testo, così come approvato dal Senato, del nuovo comma 1 dell'art. 190 cpp, recita “L’imputato, a mezzo del difensore, ha la facoltà davanti al giudice di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore” , concetti e precetti già presenti nel nostro ordinamento, ci mancherebbe altro.

    Solo che adesso, queste prove e queste persone a difesa (i testimoni) devono essere ammesse o meno dal Giudice in base alla loro pertinenza o non pertinenza e non più in base al loro essere anche superflue o non superflue.



    Questa mutazione è indubbiamente contraria alla ratio di una corretta, rapida, snella conduzione di un processo, perché tende a permettere l'intromissione di un numero indefinito, e financo esagerato, di prove e testimoniaze sì pertinenti al caso, ma completamente superflue, inutili, ridondanti. Chi più ne ha, più ne metta, pare dire la legge, anzi, chi può ne inventi, che tutto allungherà il brodino di una difesa volta (il che non sarebbe una novità per noi) più all'avvicinarsi alle scadenze di prescrizione che alla verità.

    Questo sicuramente incide sul senso di giustizia che deve sempre muovere la legislazione: in un processo penale, se è vero che c'è un imputato al quale va assicurata comunque ogni garanzia, c'è anche, ricordiamocelo, una parte lesa, una vittima, alla quale, come si dice comunemente, va resa appunto giustizia, in tempi e modalità tanto più rapidi quanto certi e meno difficoltosi per lui possibile. Perché chi subisce un torto, un danno, un atto criminale, ha tutto il sacrosanto diritto di vedersi risarcire e di vedere il presunto reo giudicato senza che il processo sì tramuti, anche per lui – vittima, in uno strazio personale ed economico infinito. La possibilità per un imputato di allungare i tempi indefinitivamente infilando in ogni momento del dibattimento nuovi testi e nuove documentazioni ad libitum, e di costringere corte e avvocati ad eseminarli, studiarli, ed analizzarli, ci pare lontana dal “giusto processo” così come esso debba essere inteso da ogni istituzione.

    Ed a proposito di giusto processo, quali effetti, dunque, potrebbe avere questa nuova normativa se effettivamente introdotta?

    Ecco, qua, su questo punto, il nostro giudizio sul “processo lungo” si fa più sarcastico che drammatico. A differenza di chi ha gridato alla “morte della democrazia” o alla “fine dello Stato di Diritto”, ci pare più sensato parlare, come abbiamo fatto con un ossimoro nel titolo di questo articolo, di una dannosa inutilità. Pensiamo infatti che, alla luce della prassi e delle regole vigenti, e alla luce della nostra Costituzione, il “processo lungo” avrà vita difficile e assai breve, e, a parte qualche improvvido favore a qualcuno in grado di procurarsi in quattro e quattr'otto una corposa lista di testimoni anche solo un po' "pertinenti", non inciderà affatto sul funzionamento generale del sistema.

    Diciamo questo perché comunque la valutazione della ammissione di prove e testimoni spetta al Giudice, che è parte terza rispetto a difesa e PM, e che è il dominus del processo. Se un testimone è veramente pertinente, se la sua testimonianza, soprattutto, è di effettiva pertinenza per l'accertamento della verità, starà comunque al giudice stabilirlo; ed il confine ideale tra una debole o ridondante pertinenza e l'essere superfluo è estremamente sottile ed indefinito, e non è difficile immaginare che, nonostante la nuova legge, sia l'economia processuale a prevalere nei criteri legittimi di scelta.

    Ma di più: una infornata senza fine di prove e testi è concettualmente in conflitto con l'art. 111 della Costituzione, articolo del cosiddetto “giusto processo”, che, al comma 2, ne “assicura la ragionevole durata”. Quindi non è solo compito di logica economia e snellezza processuale, quello del Giudice, ma suo preciso ed inderogabile dovere, quello di assicurare, difendendola da ogni inutilità e farraginosità artificiosa, la ragionevole durata del processo. Di più: asserendo il comma 4 di tale articolo cost. che Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova, sembra pacifico che una norma che preveda l'immissione incontrollata di “prove” da parte di uno solo degli implicati sia del tutto incompatibile con il comma stesso. Basterà dunque che un qualsiasi magistrato sollevi la questione di incostituzionalità perché la Consulta mandi in frantumi il provvedimento, e lo mandi in frantumi proprio contro quella stessa roccia (il 111) tanto pervicacemente voluto da Berlusconi ed i suoi, e tanto servilmente approvata a tamburo battente dall'allora (era il 1999) maggioranza di centrosinistra.

    Come se non bastasse, assai dubbia ci pare la costituzionalità della norma originaria proposta dalla on. Lussana, quella che impedisce a chi sia condannato all'ergastolo di benificiare dello sconto di pena in caso di rito abbreviato, sia per l'uguale trattamento che ai cittadini (anche agli imputati ed ai condannati : “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”) spetta, sia perché verrebbe sostanzialmente meno parte del diritto di usufruire del rito abbreviato anche per gli imputati che rischino l'ergastolo, pur essendo innocenti: chi mai si avventurerrebbe in quella scelta, rinunciando al dibattimento (ed all'eventuale processo lungo stesso!!) con la prospettiva preponderante del carcere a vita?

    Qualche danno, dunque, soprattutto per i rallentamenti indotti al primo dibattimento nel quale il “lungo processo” verrà invocato (ma salvando Berlusconi!); ma poi tutto dovrebbe finire in un (ennesimo) nulla di fatto sistemico, .

    E Napolitano, cosa può o deve fare, quando la nuova norma verrà sottoposta alla sua firma?

    Le possibilità del presidente della Repubblica di rinviare le leggi al parlamento (ovvero, come si dice comunemente, di non firmarle) sono precise, circostanziate e assai limitate. Ne abbiamo diffusamente argomentato in questo articolo).

    Ovviamente, con la solita indelicatezza e brutalità, alcuni esponenti politici o capipopolo autoproclamatisi rappresentati della “società civile” si son già messi a lanciare appelli al Capo dello Stato e a raccogliere firme per fantomatiche petizioni on line, chiedendo inopportuamente e a gran voce una ubbidienza del Presidente ai loro desiderata. Inopportunamente, lo ribadiamo. Ciononostante, ci pare che, stavolta, qualche serio dubbio di costituzionalità il Qurinale potrebbe facilmente porlo, alla luce, per esempio, da quanto qui sopra illustrato a proposito dell'art. 111, cosa che autorizzarebbe Napolitano a rinviare al Parlamento la legge per una seconda lettura. Ma ci sono poi altri elementi, quali quelli relativi alle spese aggiuntive che sicuramente si abbatterebbero sulle procure (spese alle quali non si saprebbe come far fronte) e al sistema di indipendenza del giudice. Il CSM si è inolte espresso, ancorchè in via ufficiosa, decisamente contrario al provvedimento. Essendo Napolitano il presidente del CSM stesso, non potrà, pensiamo, non tenerne conto.

    Naturalmente la valutazione complessiva spetta al Presidente ed al suo staff giuridico, che dovrebbe comunque aver ben presente il grado di compattezza della maggioranza, e quindi considerare anche la questione di un eventuale, e definitiva, seconda approvazione della legge da parte delle Camere.

    Da: http://www.democrazialegalita.it/marco/mar...1luglio2011.htm

    Ma scommetto che Napolitano invece la firmerà :angry:
     
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0 replies since 1/8/2011, 22:27   18 views
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