La rabbia dei figli rimasti senza padri

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  1. _Nicoletta
     
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    La rabbia dei figli
    rimasti senza padri


    ALESSANDRO D'AVENIA
    24/12/2010 -
    Nella città in cui vivo alla velocità di una bicicletta incontri segni che allo sguardo a motore sfuggono. Così su un ponte costellato da scritte murali, tumulto di amori, rabbie o vandalismo espressivo, ho letto: «il futuro non è più quello di una volta». Ho immaginato il/la giovane che, complice la notte, ha verniciato il suo tormento, come nelle innumerevoli email di persone che hanno letto il mio romanzo: in cosa posso credere e giocarmi la vita? Il presente, che è l'unica cosa che ci è dato vivere in spirito e carne, è in realtà il luogo in cui si realizza ciò che ci rappresentiamo come futuro. Se il futuro sparisce, evapora anche il presente. Un bambino senza l'abbraccio e la cura dei genitori non interiorizza mai il futuro come promessa: il mondo per lui sarà una selva oscura senza uscita, il tempo un sicario pronto a eliminarti.

    Lo stesso accade con i ragazzi, con i quali sto in classe, e in generale con i giovani. Solo se percepiscono lo sguardo promettente di qualcuno che, appartenendo alla generazione precedente, fa da mediatore tra il futuro e il presente fragile in cui si trovano, sono disposti a mettere in gioco la loro libertà sulle rotte della vita e navigare lontano dai porti sicuri delle mura casalinghe, affrontando la tempesta e la bonaccia, alla ricerca di quel porto segnalato sulle carte geografiche del desiderio: l'immagine di futuro interiorizzata. Ma se il futuro non ha immagine, se sparisce lo spazio ideale in cui i sogni si possono realizzare, svanisce l'aspetto sognante della realtà, necessario ad affrontare fatiche e ombre del presente quotidiano. Non sto parlando delle illusioni in cui ci rifugiamo per vincere la frustrazione dei nostri limiti e sconfitte, ma di quella reale possibilità di sognare, cioè di sperare nel futuro, per il semplice fatto che ognuno di noi c'è ed è il sogno di qualcun altro.

    La libertà è rendersi consapevoli del fatto che ogni uomo è creato per essere un nuovo inizio. Di cosa? Lo si scopre solo strada facendo. Viviamo nella storia e solo il presente, passo dopo passo, ci dirà quale è stato il nuovo inizio a cui abbiamo dato corso. Solo se so che sono già adesso il nuovo inizio di qualcosa che avverrà domani, tirerò fuori le risorse che solo il futuro sa evocare e provocare al presente. Altrimenti mi accontenterò di una vita in difesa, in cerca di sicurezze individualistiche, a costo di calpestare altri disillusi. I ragazzi manifestano, alla ricerca del futuro perduto e lo cercano anche quelli che non manifestano. I ragazzi rispondono a Saviano come ad un salvatore («Siamo ragazzi normali, senza un futuro, pieni di rabbia», «Daccela tu l'alternativa, scendi in politica e dimostraci che il miracolo di cambiare davvero questo Paese è possibile»). I ragazzi ringraziano il mite Napolitano che li ascolta nel suo studio («è l'unico che parla con noi»).

    I ragazzi cercano ciò che la generazione che li precede non offre: la mediazione di un padre. Così emergono padri incerti e provvisori, prometei simbolici più o meno pittoreschi che rubano il fuoco del futuro agli dei: da Assange a Mourinho, e quel che sta in mezzo. Il futuro non esiste più perché i padri si sono nascosti. Il padre è il mediatore del futuro, colui che è capace di provocare la nostalgia di futuro di cui ogni giovane ha bisogno per affrontare il presente. Padri sono i padri di famiglia, spesso assenti; padri sono i maestri a scuola e all'università, spesso padrini; padri sono i politici, spesso padroni; padri sono gli uomini delle agenzie educative (dalla chiesa alla tv), spesso patrigni. Padri sono tutti coloro a cui sono affidate le vite di altri, che padri diventano se si pongono al servizio di quella vita che non è loro, ma è loro affidata e di cui dovranno rendere conto alla storia.

    Se i padri non servono le vite dei figli, ma le divorano come Cronos, cioè le controllano o ignorano, i figli diventano burattini o orfani. Che futuro ha un burattino? I fili. Un orfano? La fuga. Quando mio padre mi lanciava in aria da bambino, mia madre, impaurita, gli chiedeva di mettermi giù. Lui la rassicurava e continuava. La madre ha il compito di tenere ancorato il figlio alla terra, il padre invece lo lancia verso le stelle, verso l'ignoto, verso la paura di cadere, ma le sue braccia lo aspettano per ricordargli che il futuro è un'incognita, ma si cade tra braccia sicure, e la paura della vertigine si muta in risata. Ma se il padre sparisce, il duro suolo fermerà la caduta dei figli e non resterà che il pianto inconsolabile di un inizio fallito. I ragazzi manifestano perché i padri si manifestino e liberino il futuro e i sogni che contiene.

    Ogni ragazzo può sognare perché è sognato. Ogni uomo può sperare perché è atteso. Ho la fortuna di avere un padre: mio padre. Ho avuto la fortuna di avere grandi padri: Mario Franchina, professore di lettere, Padre Pino Puglisi, professore di religione del mio liceo, Paolo Borsellino, vicino di quartiere. Da loro ho ricevuto il futuro e quindi il presente. Abbiamo bisogno di padri che facciano più strada di quanta possiamo farne noi per raggiungerli. Padri tornate, noi non smetteremo di cercarvi e di darci da fare per essere un nuovo inizio.
    Link: http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/a...lo/lstp/381234/








    :paper:


    Non sono d'accordo ma è un bell'articolo, con degli spunti di riflessione.
    Per me spingere i figli al futuro, verso il proprio futuro è un ruolo di entrambi i genitori.
    A volte le madri derubate del loro futuro, costrette a vivere tramite i figli, in qualche modo cercavano di derubarli a loro volta di parte del futuro. Il mito della mamma buona che si sacrifica per i filgi è appunto un mito, secondo me, perchè alla fine si riprendevano ciò che davano. E' umano.
    I miei genitori invece mi hanno accompagnato verso il futuro, l'hanno fatto entrambi, mia madre spingendomi ad affrontare le cose pratiche, la quotidianità di tutti i giorni con il suo piglio battagliero fieramente, mio padre sulle idee e nel mantenere accesa sempre la funzione della critica. Ma perchè loro due avevano quelle caratteristiche specifiche, avrebbe potuto essere l'inverso, non cambiava, nel senso di un buon apporto.
    Sicuramente questo coraggio di buttarmi e fare le cose è stato incoraggiato da tutti e due
    e sono fiera che me l'abbiamo passato nel DNA o nelle pappe o nella vita comune o nei discorsi alti e bassi che siano e vorrei che fosse quello che farò io e il loro padre con i miei figli.

    :ma:
    Che sennò da casa non se vanno manco con le pedate :asd:
     
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  2. vitoc
     
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    :B): Non c'è che dire. corposo con molti spunti, la figura del padre e della madre richiama un po' quella letta ne "Il Famigliare" di Scabini e Cigoli, dove materno e paterno vanno interpretati più come "gender" che come sesso, richiamano più la necessaria presenza nel nucleo genitoriale del polo affettivo e di quello etico, fiducia-speranza da un lato, giustizia-lealtà dall'altro.
    Ci sarebbe molto da dire, ma soprattutto pensare.
     
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  3. _Nicoletta
     
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    Terribile eh? Fai un esame e lo ritrovi dappertutto!
    Aspetto le tue opinioni che leggo sempre con piacere
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  4. vitoc
     
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    :B):
    "...Il presente, che è l'unica cosa che ci è dato vivere in spirito e carne, è in realtà il luogo in cui si realizza ciò che ci rappresentiamo come futuro. Se il futuro sparisce, evapora anche il presente....il tempo un sicario pronto a eliminarti...se sparisce lo spazio ideale in cui i sogni si possono realizzare, svanisce l'aspetto sognante della realtà, necessario ad affrontare fatiche e ombre del presente quotidiano..."
    Non so se colgo il senso dell'articolo, che devo dire apre una lettura interessante del vivere che si agita intorno a noi, ma vorrei comunque riflettere su di un aspetto, forse una mia piccola mania: quello transgenerazionale che trapela fra le righe.
    Sicuramente viviamo una presentificazione del vivere che si consuma quotidianamente negli stereotipi del successo e del facile arrivismo, ogni giorno essi si affacciano nelle nostre case fissandoci in momenti estasici che ci rubano alla realtà, alla consapevolezza di noi stessi, facendoci merce e mercato insieme. In questo senso sicuramente veniamo privati di uno spazio creativo dove rappresentarci il futuro, un domani, come ho già detto un'altra volta, che non può essere la semplice continuazione del presente.
    Qui sono d'accordo che possiamo vedere il tempo come un sicario pronto a eliminarci, e forse molti già lo fanno consumandosi ai bordi delle strade il sabato sera, o nell'oblio fatalistico della grande occasione televisiva.
    Se devo pensare che il padre di mio padre ha lasciato a suo figlio una giovane Repubblica seppure ancora imperfetta, nata dalla Resistenza e dagli ideali di libertà e giustizia e che a sua volta mio padre è riuscito a conservarla a me per le mie lotte e per il mio desiderio di cambiamento, spentosi sotto il peso del terrorismo e della risposta dello Stato, risucchiato nel disimpegno degli anni Ottanta, dove una intera generazione si è dispersa... Sicuramente in mezzo a tutto questo è mancata una generazione che facesse da ponte, un ponte che sapesse legare passato, presente e futuro, che rinsaldasse gli ideali di quella Italia caparbia che si risollevava dalle macerie di una guerra, dell'Italia che ha creduto nel futuro investendo in esso, resistendo con coraggio alle stragi, ai lutti della sua gente, che ha visto poi cadere pezzo dopo pezzo, crisi economica dopo crisi economica, tutto: quel futuro adesso non c'era più, o almeno non era più quel luogo lanciato in avanti nel tempo, presagio di un mondo diverso, migliore. Aveva vinto la profezia dei padri peggiori che continuavano a dire: "Non ti agitare, tanto non servirà a niente, pensa per te...".
    E tutti, forse, pensammo a noi e non ci siamo accorti che cresceva una, due generazioni, estranee e lontane, guardate con diffidenza, come del resto i nostri vecchi guardavano a noi. Ma avevamo troppo da fare per noi, dovevamo pensare alle nostre case, sempre più belle dove rinchiuderci dentro appena possibile e dove avremo chiuso i nostri figli. Certo forse non li abbiamo mangiati come fece Crono, ma sicuramente li abbiamo parcheggiati da qualche parte, in quella lunghissima adolescenza, in quell'essere sempre giovani e mai adulti responsabili, una sorta di reciproca eterna giovinezza, appunto senza futuro.
    L'attesa di un figlio che cresce cammina con la consapevolezza del mio invecchiare, nello scambio reciproco del dono, che per mio figlio avverrà quando sarà anche lui padre, con la necessità di lasciargli il mio posto, la consegna di un testimone carico delle cose che ho vissuto e di quelle in cui ho creduto, dell'amore che avrò saputo dare e ricevere, della speranza che avrò generato.
    La risposta non sta in un padre ma nell'attesa dell'uomo che verrà, nel figlio che avrò avuto il coraggio di sognare, nella scommessa insita nel coraggio di generare uomini nuovi e non "neo-nati".
     
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  5. _Nicoletta
     
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    Solo una cosa: alla cena del 31 è venuto fuori da più persone il piacere di leggere le belle cose che scrivi :cuoricino:
    Con l'augurio che il futuro evapori in sogni e progetti
    per genitori e figli :cuoricino:

    Credo che noi che studiamo ancora, siamo dei genitori ancora pieni di sogni
    quindi li passermo quasi per osmosi ai nostri figli :P
     
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  6. kiki13
     
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    e già... scrivi davvero molto molto bene, vito, scrivi con cuore, pancia e cervello... continua a darci il piacere di leggerti :cuoricino:
     
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  7. vitoc
     
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    :timido:
     
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  8. maristella52
     
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    Si anch'io te lo volevo dire Vito che le tue sagge opinioni sono lezioni di vita su cui riflettere. Dovresti essere tu il nostro docente di Affetti e relazioni interpersonali!! Sei forte Vito e hai tutta la mia stima!! :fiori:
     
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7 replies since 26/12/2010, 08:31   96 views
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