Statistica, antropologia e geografia. Quello che non piace all'università

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  1. _Nicoletta
     
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    Statistica, antropologia e geografia. Quello che non piace all'università

    L'INDAGINE

    Tra le meno gradite alle "matricole" anche pedagogia e storia. Le più apprezzate ingegneria civile, architettura e scienze mediche. La più presente nei corsi è ancora giurisprudenza.
    Uno studio di AlmaLaurea di FEDERICO PACE


    La prima aiuta a comprendere i fenomeni sociali e a fare scelte. La seconda permette all'uomo di accedere alle regole profonde che governano le comunità e, come diceva Claude Levi Strauss, "a prendere distanza dal proprio io". La terza ci svela le forme e i colori del pianeta in cui viviamo. Ma ai neo-studenti dell'università, ai giovanissimi che si affacciano nelle stanze del sapere, non piacciono per nulla. Statistica, antropologia e geografia, questa speciale triade di saperi in qualche modo rifiutati, anche se necessari per interpretare la realtà, sono agli ultimi posti della "classifica di gradimento" di chi si appresta a entrare negli atenei italiani.

    A indagare il livello di gradimento delle materie dei corsi universitari e il loro livello di diffusione è uno studio realizzato da AlmaLaurea, il consorzio che coinvolge 60 atenei italiani. Un'indagine che solleva, necessariamente, interrogativi sulla modernità e adeguatezza del sistema formativo. Perché le materie più presenti nei labirintici programmi di studio dei corsi universitari sono soprattutto quelle giuridiche. Con spazi molto esigui invece per le scienze esatte. Anche se questo in cui viviamo è, anche, se non soprattutto, il tempo della tecnologia. Lo studio prende in considerazione le 29 materie complessivamente presenti nei piani di studio degli oltre 300 mila studenti entrati nel sistema universitario italiano nell'anno 2007/08 e i comportamenti di un focus group di 2.312 studenti diplomati degli istituti delle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia che hanno realizzato il percorso di orientamento AlmaOrientati.


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    Il diritto sovrasta le scienze. Così negli atenei italiani, che in un anno propongono un "monte ore" di lezioni pari a un miliardo e duecento milioni di ore, per ogni 100 ore di formazione universitaria dedicata alle scienze giuridiche, solo tre ore riguardano la geologia. Al di là del paradosso tutto proprio dell'Italia, patria del diritto e nazione di cittadini così poco inclini a rispettarle, viene da chiedersi qual è l'immagine del nostro paese che emerge da questi dati? "Da questo studio arriva la conferma - risponde Andrea Cammelli, direttore del consorzio - che sono ancora pochissime le ore destinate alle scienze esatte. La conferma di un paese che non ha ancora deciso di investire sul terreno strategico per competere a livello internazionale". Tra quelle più diffuse, seppure molto distanziate da quelle giuridiche, ci sono le scienze economiche (58 ore). Poi le scienze biologiche con 36 ore e ingegneria civile, architettura e scienze mediche con 28.
    Quello che piace e quello che serve. Se è vero che nelle prime posizioni ci sono materie di "nicchia" e molto specifiche come le scienze motorie e sportive (il 96 per cento) e come può essere in qualche modo anche veterinaria (quasi l'80 per cento), tra le più gradite ci sono anche ingegneria civile, architettura e le scienze mediche (67 per cento). Psicologia al 65 per cento, scienze giuridiche al 61 per cento. Poi lingue e letterature moderne con il 60 per cento. Tra le meno gradite, come detto, la geografia (lo dice il 55 per cento), poi le scienze antropologiche (il 47 per cento) e, appunto, la statistica. "E' una disciplina entrata recente e ha un orribile nome - ammette Cammelli - ma in un Paese che guarda al futuro dovrebbe essere tenuta in grande considerazione. E' necessario conoscere per governare. Pure con la convinzione che i numeri non dicono tutto, questa consapevolezza deve entrare nelle aziende così come nelle istituzioni. Come si fa a decidere, se non si conosce come sono andate le cose fino a oggi?".

    Il Pi greco e il disincanto. In parte, si possono capire i neo-diplomati. Le materie sono animali difficili e multiformi che sfuggono e non si fanno "afferrare" con facilità. E nelle aule universitarie, il disincanto sta sempre in agguato. "I professori mi parlavano solo del Pi greco, ma io volevo guardare le stelle". Così uno dei protagonisti nella commedia americana della generazione dei "giovani, carini e disoccupati", confessava la delusione per l'ingombrante presenza della matematica al corso di astronomia. Non sempre, o raramente, i ragazzi vengono aiutati a fare scelte cruciali con la giusta dose di consapevolezza o con un'idea chiara dei saperi che si andranno a studiare e di quale gli impieghi che se ne fanno nella società.

    Le scelte dei ragazzi. Alla fine della maturità comunque si deve decidere. E' facile a dirsi. Difficile a farsi. I ragazzi, almeno quelli analizzati dallo studio, scelgono soprattutto il gruppo di studi economico-statistico (il 15 per cento), il politico sociale (l'11 per cento), e l'area giuridica e ingegneria (entrambe al 10 per cento). Poco meno di dieci su cento scelgono corsi dell'area letteraria. Tra questi e tutti i corsi possibili, ce ne sono di molto specifici, con materie molto "coerenti" tra loro, ma sono anche numerosi quelli multidisciplinari dove invece lo spettro è molto più ampio. Forse, anche per colpa di questi, la cosa più complicata di tutte, l'artificio da acrobati a cui vengono chiamati i giovani, è quello di riuscire a fare corrispondere il percorso che viene scelto con quello "preferito". Iscriversi al corso al cui interno ci sono le materie preferite. Scegliere quel percorso che insegna i saperi richiesti dalla società senza tradire completamente le proprie attitudini.

    Il difficile equilibrio. A chi capita di essere il miglior funambolo di tutti? A chi riesce di studiare quello che piace? Anche qui si distinguono, e forse non è un caso, gli "azzeccagarbugli". Chi sceglie un percorso giuridico, per l'88 per cento si ritrova a studiare delle materie che piacciono. Seguono quelli dell'area psicologica dove nel 79 per cento dei casi c'è corrispondenza tra preferenze e corso. Al contrario sembrano non coincidere le due cose soprattutto per ingegneria (solo nel 17 per cento) nel politico-sociale (solo nel 19 per cento). Ma sono bassi anche nel caso dell'economico-statistico (solo il 40 per cento). E desta qualche sorpresa che anche nell'ambito letterario solo la metà sceglie un corso che "contiene" materie per cui il diplomato ha espresso gradimento.

    Si deve fare di più. Le scelte insomma sono difficili ma è chiaro che le responsabilità non possono ricadere sui giovani protagonisti. L'equazione è così complicata che tanti sono gli operatori che mancano al loro compito. "C'è troppo poco orientamento - attacca Cammelli - i giovani non possono essere orientati in famiglia, perché 75 su 100 arrivano alla laurea alla prima volta e 80 diplomati porteranno per la prima volta la laurea. Dalla famiglia, per molti, non arriva alcuna esperienza concreta, che non sarà tutto, ma è un ago che aiuta ad orientarsi. Le scuole fanno poco e male e le conoscenze sull'università sono ancora insufficienti." Preoccupa che da diversi anni la metà dei diplomati appena finito il corso di studi dichiari che non rifarebbe la stessa scuola. Preoccupa che 18 ragazzi su 100 immatricolati al primo anno universitario si perdono e lasciano le facoltà. "Questi dati aprono un baratro - conclude Cammelli - e dicono che la funzione di orientamento è molto più delicata e necessaria di quanto si creda. Si deve fare molto di più, si vuole evitare che i danni alla società, acuiti dalla scarsità di risorse messe a disposizione, diventino un costo insostenibile, soprattutto per i ragazzi".

    (13 luglio 2010)
    Link: www.repubblica.it/scuola/2010/07/13...it-5558572/?rss
     
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