Il direttore generale della Luiss: "Figlio mio, lascia questo Paese"

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  1. _Nicoletta
     
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    LA LETTERA. Il direttore generale della Luiss
    avremmo voluto che l'Italia fosse diversa e abbiamo fallito
    "Figlio mio, lascia questo Paese"


    di PIER LUIGI CELLI

    "Figlio mio, lascia questo Paese"


    Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.



    Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
    Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

    Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

    Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

    Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

    Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
    "Figlio mio, lascia questo Paese"



    Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

    Preparati comunque a soffrire.

    Con affetto,
    tuo padre

    L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.

    (30 novembre 2009)
    link: http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/s...li-lettera.html
     
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  2. _Nicoletta
     
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  3. _Nicoletta
     
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    Restare in Italia o andar via? Dopo la lettera di Pier Luigi Celli
    eccole risposte di quanti hanno studiato e non trovano lavoro

    Disoccupati ad honorem
    Il paese dei laureati in fuga

    di CINZIA SASSO

    Disoccupati ad honorem Il paese dei laureati in fuga

    Pier Luigi Celli
    IL PAESE dove i padri stanno meglio dei figli, dove il passaporto come una laurea prestigiosa apriva tutte le porte, dove il merito contava qualcosa, dove invece oggi bisogna pensare ad andarsene per avere un futuro, si vede bene da qui, dal salotto di questa bella casa borghese. Milano, zona di porta Romana, Siracusano è il cognome stampato sulla targhetta. Basta suonare il campanello, farsi raccontare, ed ecco la storia. Bruno, il padre, si è laureato alla Bocconi con 110 e lode nel '74 e nel giro di qualche settimana ha ricevuto quaranta offerte di lavoro. Alice, sua figlia, dalla Bocconi è uscita - benissimo - nel 2007: ma per cominciare ha trovato solo uno stage e poi, grazie alla presentazione di un'insegnante, è riuscita ad avere, uno dopo l'altro, per ora, due contratti a progetto. Gianluca è iscritto al terzo anno e se tutto va come sta andando, cioè alla grande, otterrà la laurea nel 2011; nel suo futuro, però, non c'è posto fisso, non c'è nemmeno un contratto a tempo parziale, c'è soltanto la nebbia. Oppure la fuga all'estero. Così come del resto fa un laureato su cinque, proprio della Bocconi.

    Ieri, in un'aula dell'università di Bologna, durante la sua lezione di statistica sociale, il professor Andrea Cammelli ha letto ad alta voce la lettera che Pier Luigi Celli, attraverso Repubblica, ha inviato al figlio, Mattia. "Riga dopo riga - racconta Cammelli, che è anche il fondatore di Alma Laurea, il consorzio di 55 atenei italiani che da quindici anni lavora per sposare domanda e offerta - mi ha fatto crescere l'angoscia. Concludere che è necessario andarsene per poter avere un futuro, è terribile: ai miei studenti parlo di investimenti nel capitale umano, dell'importanza di questo per il sistema Paese, e quelle parole mi hanno fatto venire il groppo in gola. In Italia 74 laureati su 100 sono i primi della loro famiglia a raggiungere quel traguardo, e dover dire che lo sforzo fatto da loro e dai loro genitori non serve a niente è terribile".

    La crisi sta picchiando più duro soprattutto sui giovani. E tra i giovani si accanisce di più su quelli bravi. Soprattutto in un Paese immobile come l'Italia, dove i giovani sono destinati a restare una generazione senza voce. Perché, se le aziende si strappano i capelli denunciando che non riescono a trovare tornitori e meccanici e, come dice Unioncamere, l'offerta di lavoro per gli infermieri è del 50% inferiore alla domanda, quella che è crollata è la richiesta di figure di un certo spessore. Insomma, chi più ha investito sulla propria preparazione, chi ha cercato di essere competitivo raggiungendo i risultati migliori, non trova più nella buca delle lettere, come accadeva al dottor Siracusano padre, decine e decine di offerte di lavoro.

    Key2People, società di executive search, ha studiato il mercato del lavoro dell'ultimo anno e ha fatto scoperte sconvolgenti, presentate in un recente seminario alla Luiss: messi a confronto i primi tre mesi del 2008 con il gennaio, febbraio e marzo del 2009, ha evidenziato un calo nella richiesta di giovani laureati pari al 46 per cento. Il settore che ha fatto registrare il crollo più significativo - 52 per cento - è quello della logistica: 11.100 domande un anno fa contro le 5.400 di quest'anno; meno 35 per cento per il settore produttivo; meno 36 per l'information technology; meno 33 nelle risorse umane; meno 45 per marketing e comunicazione; meno 25 per amministrazione e finanza. Tengono i ruoli delle vendite, con un segno negativo che è "solo" del 9 per cento; e registra un segno positivo - più 6 - soltanto il settore legale, con una modesta offerta per fiscalisti, avvocati di diritto societario, giuslavoristi.

    "Le nostre ultime rilevazioni - dice Cristina Calabrese, partner di Key2People - mostrano che il mercato degli annunci, cioè la ricerca di personale qualificato, ha subito un crollo, con alcune aree che hanno chiuso completamente i battenti". Colpa della congiuntura, non c'è dubbio. "Per un'azienda - aggiunge Calabrese - assumere un neolaureato vuol dire avere risorse a disposizione per investire su di lui; e nei periodi più critici c'è molta offerta, anche qualificata, a un prezzo inferiore, dunque assumere giovani non è competitivo". Gli economisti Paul Beaudry e John Dinardo avevano già formulato questa sorta di legge economica: chi esce dall'università in un momento di crisi entrerà nel mercato del lavoro a condizioni peggiori e ne pagherà il prezzo per tutta la carriera. Andrea Ichino, che insegna Economia dell'istruzione a Bologna e ha appena mandato in libreria "L'Italia fatta in casa", dice: "In un momento di crisi di queste dimensioni è ragionevole aspettarsi che le aziende non cerchino: ma succede anche ad Harvard, a Standford. Quello che bisognerà vedere, piuttosto, è se l'anno prossimo la tendenza si invertirà". Ichino è ottimista: "La crisi sta già passando; quello che stiamo registrando adesso non sarà per l'eternità".

    Anche Guido Tabellini, rettore della Bocconi, distingue il trend dal momento congiunturale e un evento recente gli dà ragione: al Bocconi & Jobs del 7 novembre, l'incontro tra i laureati e il mondo del lavoro, si sono presentate 87 imprese, il 40% in più rispetto al 2008. "Le aziende - assicura il rettore - continuano a essere molto interessate ai nostri studenti, e il 60% trova un'occupazione ancora prima di uscire dall'università. Certo, qualcosa è cambiato: uno su cinque dei nostri ragazzi, adesso, il lavoro lo trova all'estero". Se sia una fuga obbligata o una scelta, è difficile dire. Elisabetta Tarizzo, ad esempio, pensando al futuro ha cominciato a trasferirsi a Londra già per studiare: vorrebbe occuparsi di beni culturali, ma ha presente che nel Paese più ricco di arte del mondo non c'è posto per gli specialisti del settore e allora spera che un corso di studi al Courtauld Institute of Art sia un lasciapassare migliore. Il fatto è che in Italia c'è un "tappo". Roger Abravanel, l'autore di un libro-cult "Meritocrazia", lo spiega così: "Qui da noi il blocco è nella leadership, sia in politica che nelle imprese. La nostra è una società immobile, che non riconosce il merito: si premia la struttura padronale, familiare, che basta a se stessa e che non si mette in competizione. E i giovani bravi o si affidano alle raccomandazioni o se ne vanno". L'analisi di Abravanel, che è già stato chiamato a fare 300 conferenze in giro per l'Italia (segno di una diffusa sensibilità all'argomento), è impietosa: "La meritocrazia in Italia non esiste, la selezione avviene solo sulla base del nome che porti o della famiglia a cui appartieni, mentre all'estero, ad esempio nei Paesi emergenti come la Cina, la scuola ha come obiettivo quello di azzerare i privilegi di nascita. Noi siamo vecchi, conservatori. E, se non vuoi crescere, non ti servono i giovani e nemmeno i talenti".

    Che il problema non sia solo dei giovani, ma del Paese, è anche opinione del rettore Tabellini. "Viviamo in un mondo globale, e non è negativo che i nostri ragazzi trovino lavoro all'estero - osserva - è preoccupante, però, che non ci siano stranieri che vengono a trovare lavoro nel nostro Paese". Cammelli aggiunge un dato: "L'anno scorso abbiamo ceduto alle aziende, italiane e straniere, 450mila curricula di laureati. Quest'anno abbiamo avuto il 27% in meno di richieste, anche per lauree come ingegneria e informatica. Se le aziende fanno fatica, rischiano di dover ridurre per primi gli investimenti sul capitale umano e questo vuol dire ipotecare il futuro: una volta usciti dalla crisi, ci ritroveremo all'ultimo posto". L'Italia all'ultimo posto e i nostri ragazzi in giro per il mondo a far vedere quanto sono bravi.
    (1 dicembre 2009)
    Link: http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/s...i-fuga.html?rss
     
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  4. vitoc
     
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    :angry: certo che a leggere c'è da inc...arsi... I nostri nonni, nonostante i "casini" che avevano erano riusciti (anche morendo/uccidendo per una idea) a dare qualcosa di più alla generazione successiva... mio padre mi ha dato più di quello che aveva ricevuto.... io pur avendo più di lui non sarò in grado di fare altrettanto con i miei figli... Siamo tutti immolati all'ara sacrificale della logica corrente del profitto, ora, subito e chi se ne importa di domani... della cultura... dei bambini....
    :pirata: all'arrembaggio
    dell'ultima anima....
     
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  5. _Nicoletta
     
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    Se vuoi incaxxarti melgio leggi La bolla di Curzio Maltese
     
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4 replies since 1/12/2009, 20:09   158 views
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