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_Nicoletta.
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Anime Salve
Testi e musiche di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati - Ricordi 1996
PRINCESA
Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare
Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l'orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre
"che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita"
e io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica
nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina
corro all'incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna
nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi
perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l'amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore
e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia
sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita
dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l'altro si arrende
che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un'unica stella
che squilla di luce di nome Princesa
a un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone
o matu (la campagna)
o cèu (il cielo)
a senda (il sentiero)
a escola (la scuola)
a igreja (la chiesa)
a desonra (la vergogna)
a saia (la gonna)
o esmalte (lo smalto)
o espelho (lo specchio)
o baton (il rossetto)
o medo (la paura)
a rua (la strada)
a bombadeira (la modellatrice)
a vertigem (la vertigine)
o encanto (l'incantesimo)
a magia (la magia)
os carros (le macchine)
a policia (la polizia)
a canseira (la stanchezza)
o brio (la dignità)
o noivo (il fidanzato)
o capanga (lo sgherro)
o fidalgo (il gransignore)
o porcalhao (lo sporcaccione)
o azar (la sfortuna)
a bebedeira (la sbronza)
as pancadas (le botte)
os carinhos (le carezze)
a falta (il fallimento)
o nojo (lo schifo)
a formusura (la bellezza)
viver (vivere)
da qui: www.viadelcampo.com/html/testi_anime.html. -
vitoc.
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Ottimo album e stupenda collaborazione... e purtroppo l'ultimo, l'atto definitivo. E' il tredicesimo album di Fabrizio de André, dove possiamo cogliere le fusioni più alte, più ricche, le contaminazioni più coinvolgenti e la collaborazione importante di Ivano Fossati (per quanto tormentata). Come non mai in questo lavoro si celebra il trionfo delle minoranze, dei deboli, dei diseredati... come lo struggente brano offerto da Nicoletta al quale affianco in omaggio al poeta i versi di Smisurata Preghiera, liberamente ispirata all'opera dello scrittore Alvaro Mutis: "per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione, e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi, per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità".
Grazie Fabrizio.
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maristella52.
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TRAMONTO
O Notte, dolce Notte, scendi su di me e dona finalmente riposo a questi miei occhi stanchi, mentre qua, solo, abbandonato su queste rovine a picco sul mare, memoria di un Castello il cui ricordo ancora rosseggia nel tramonto dei miei pensieri, ascolto il quieto respiro di una città ormai per sempre addormentata. O quante storie, memorie, lacrime, quanti fuggenti battiti d’ali bianche segnano il ruvido abbraccio di queste pietre, le colline scure, il mare in cui tra breve il Sole si tufferà, forse per non sorgere mai più. Si, questa sarà l’ultima notte, lo sento: perché mai se no la natura dovrebbe concedersi in tutto il suo cupo, sfolgorante splendore? Rimpiango solo di non averti salutato con più riconoscenza, dimostrandoti più gratitudine. Il mare non ha mai brillato così, dorato, trasparente; il cielo, infuocato e sanguigno, par proprio voler dare l’ultimo saluto a un mondo di cui ha avuto cura così a lungo e così amorevolmente. Solo il vento tace, quel mio fedele amico che per secoli e secoli ha squassato l’azzurro petto di questo Golfo che ora, ai miei occhi vecchi e provati dalla salsedine, pare un bimbo abbandonato tra gli intrichi di una foresta per lui troppo grande ed estranea. Solo, sperduto, si aggira invano tra le fronde smeraldine, senza tuttavia temerle, ma anzi, sentendole parte di sé. Ma la sua pelle eburnea stona con ciò che lo circonda, tutto lui non appartiene a quel mondo selvaggio e silenzioso ed egli non riesce a farsi una ragione del legame che li unisce. Così Trieste, città di mare e di viaggi, sulle tue fondamenta la natura primordiale di nuovo si arrampica, lenta ed inarrestabile, avvinghiando con sottile ma spasmodica gelosia il ricordo di te. Ti ho vista, Trieste, nei tuoi giorni migliori, quando bianca e radiosa rifulgevi sul mare intenso, incastonata tra le colline, mentre il tuo occhio fiammeggiante mostrava la via a chi, stanco, cercava rifugio in un porto sicuro. Che gioia era allora entrare nel Golfo sulle ali del vento e scorgere, già da lontano, il fervore che ti pervadeva, la folla che affluiva come nero sangue nelle tue vene di pietra. Per prima, lunga e sottile, evanescente nella foschia, s’intravedeva la striscia scura del Molo, mentre a destra la Piazza si rifletteva nelle onde che s’infrangevano spruzzando scherzose le bronzee Filatrici. E al tramonto, la tua bellezza erompeva come non mai: il Sole, catturato dagli aurei mosaici di quel palazzo candido esposto a Nord-Est, si rifletteva abbagliante. Chissà poi cosa rappresentavano quei volti, profili coronati d’alloro, donne e uomini simili a dei nella loro altera quanto statica bellezza, gli unici che, immobili, potevano ammirarti notte e giorno, sempre, anche quando non c’era più nessuno a prendersi cura di te. E come potrò mai scordare il faro, mentre fiero fendeva la nebbia o resisteva sprezzante nella Bora turbinosa, spandendo la sua luce come un occhio costante e vigile, una guida per tutti noi. Ma il bronzeo angelo che ti proteggeva, ora, immobile, assiste al tuo dolce declino, mentre la natura sovrana gli allaccia i malleoli di fiori. Mia Trieste, non eri uno scontroso ragazzaccio poco avvezzo alle gentilezze, come il Poeta ti aveva descritto, no: eri solo un giovane, tanto bello quanto impacciato, pieno di grazia innata, i cui tratti ruvidi contrastavano con le volte celesti degli occhi. Dove mai furono visti infatti cieli più belli? Quando soffiava la Bora e il mare ribolliva schiumoso, spaccato in due dal vento, attraverso l’aria cristallina potevi scorgere, perfette, le montagne innevate, dipinte sul cielo abbagliante. Ma ancor più bella eri quando dal mare soffiava il caldo Scirocco. In quei giorni, guardando il cupo cielo grigio e maestoso, se ascoltavi attentamente riuscivi a sentire ovunque lo stormire delle fronde. Allora il tempo, se volevi, si fermava ed esistevi solo tu; tu e quell’odore di sabbia e terre lontane portato in volo dal soffio del vento. Ma come posso rammentare ora, tutti insieme, i miliardi di dolci ricordi che affollano la mia mente, i paesaggi, i cento, mille tramonti che hanno tinto d’ardenti colori gli scogli, le notti passate ascoltando lo sciabordio delle onde, la cascata che ancora adesso posso sentir scorrere in lontananza, rumori di ricordi che non voglio lasciar andare e perdere per sempre? E questo Castello, dalla cui balconata solevo spesso sporgermi per ammirare il tappeto d’alghe e la bassa marea, oppure il parco, misterioso e intricato nei suoi viottoli coronati di glicini, le fontane di marmo, tutto rivive nella mia nostalgia, ogni singola nota vibrante di quella perfetta armonia tra terreno e divino.
Un ultimo spicchio di sole vermiglio s’inchina alla tua gloria, poi il crepuscolo. E quei raggi cremisi non li vedrò mai più scorrere sulla riva arabescata di schiuma, guizzare attraverso il pulviscolo della Città Vecchia e infiltrarsi tra le Merlature del Castello che un tempo qui sorgeva. Una stella brilla sopra di me, un altro ricordo affiora. Una sera d’estate, il cielo che si stemperava di viola e di arancio sul mare, mentre ad Est, sopra il colle, riluceva il bianco siderale degli astri. Il desiderio di poter vivere per sempre in quella pace e serenità disarmanti. Non vidi mai più uno spettacolo di tale maestosa potenza e fragilità. L’orizzonte screziato d’ocra non vuole lasciar sorgere la Notte, non vuole abbandonarti. Venere, come un’argentea lacrima pianta dal cielo, è sorta e scomparsa, scivolata via nel baluginare del suo mesto omaggio. Quanto vorrei rivederti, Trieste, riviverti in ogni tua singola parte! Quanto vorrei che ti ricordassero tutti in eterno! Una flebile brezza s’alza dall’acqua ormai buia, come un sospiro. Notte è arrivata a portar via i miei affanni e a chiudere i miei occhi neri. Scorgo ancora, ultima, la falce orizzontale della Luna spargere attorno a sé il suo dolore in mille gocce di cristallo. Ti ho amata, Trieste, e ti amerò per sempre. Vorrei gridarlo, ma dal mio becco esce solo un suono stridulo; il fiato mi manca. Sono stille salmastre o lacrime, quelle che imperlano le mie piume candide? Vorrei, anche per un solo istante poter volare di nuovo sulle case, gridando la mia gioia, ammirando con struggente trasporto il panorama bianco e blu, bello anche dove nessuno lo considerava tale. Ma sono solo un gabbiano, un misero gabbiano la cui ora è giunta, qua, sotto il manto della Notte, dove tutto è cominciato.
Giulia Mari. -
_Nicoletta.
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haiku
passa come acqua
scivola sopra svelti
contorni umani
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Ginepro.
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Avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino.
Allora barcollava?
No, ma dava baci a tutte le bambine, dietro i barili, nelle cantine.
_._._._._._._._._._._._._._._
Ho disegnato una piccola casa di cemento
poi ho aperto la porta
e ti ho messo dentro
quando scenderà la notte e sentirai bussare
non sarà il vento
saranno le stelle a cento a cento
_._._._._._._._._._._._._._._
Piovendo, nelle sue sicure braccia l’abbracciava.
E la pioggia?
La pioggia fuori piano pioggerellava.
E dopo?
Dopo non si sa, erano al prima.
_._._._._._._._._._._._._._._
A ogni inizio di notte gli inviava pensieri, adeguati all’ora del silenzio e dei baci.
E gli adeguati pensieri, di tetto in tetto scivolando,
a lui quasi preso dal sonno giungevano,
appena appena in tempo, quasi in ritardo.
_._._._._._._._._._._._._._._
[...]
Io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell'amore mio un bigliettino
lui ha pensato a una multa invece no ero io
*
L'amore mio non ha ancora finito
di leggere le favole che ho scritto un anno fa
l'amore mio certe volte mi fa perdere la pazienza
*
All'amore mio si chiudono un po' dal sonno gli occhi belli
infatti sono le tre meno un quarto
io sono una peste perchè all'amore mio io rubo il sonno
*
L'amore mio quando era bambino era timidissimo con le bambine
anch'io quando ero bambina ero timidissima con i bambini
forse però l'amore mio un giorno mi avrebbe chiesto come ti chiami
e dopo avrebbe giocato con me un po' a palla
*
L'amore mio quando era bambino
chissà che grembiulini metteva
e se era un bambino buono o così così
l'amore mio quando era bambino
se sapevo dov'era me lo rubavo
*
[...]
*
L'amore mio la prima volta che è un po' distratto
me lo prendo e me lo porto via
[...]
[V. Lamarque]. -
_Nicoletta.
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In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro,cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.
Sino all’essenza de giorni passati,
sino alla ragione,
sino ai motivi,sino alle radici,
sino al midollo.
Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini,degli avvenimenti,
sentire,amare,vivere,pensare
effettuare scoperte.
Boris Pasternak
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pike bishop.
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Combattere a voce alta, è da coraggiosi -
Ma più valorosi, conosco
Che assaltano nel petto
La Cavalleria del Dolore -
Che vincono, e le nazioni non vedono -
...Che cadono - e nessuno osserva -
I cui occhi morenti, nessun Paese
Guarda con patriottico amore -
Confidiamo, che in puimata processione
Per loro, gli Angeli andranno -
Schiera dopo Schiera, con passo cadenzato -
E uniformi di neve.
Emily Dickins. -
_Nicoletta.
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Arthur Rimbaud
Sensazione
Nelle sere d’estate andrò per i sentieri,
pizzicato dal grano, pestando i fili d’erba;
ne sentirò, sognante, il fresco sotto
i piedi.
E al vento lascerò bagnare la mia testa.
Non dirò più parole, non farò più pensieri:
ma un amore infinito mi salirà nel petto,
e andrò molto lontano, sarò come
uno zingaro,
come una donna per i campi contento.. -
pike bishop.
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_Nicoletta.
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Ringraziamento
Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.
La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.
Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l'amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.
Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come un orologio solare,
capisco
ciò che l'amore non capisce,
perdono
ciò che l'amore non perdonerebbe mai.
Da un incontro a una lettera
passa non un'eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.
I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.
E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che si trovano in ogni atlante.
E' merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perchè mobile.
Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.
"Non devo loro nulla" -
direbbe l'amore
su questa questione aperta.
Wislawa Szymborska
da "Vista con granello di sabbia"
link: www.gironi.it/poesia/szymborska.php. -
_Nicoletta.
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Itaca (Costantino Kavafis)
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d'incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d'ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.. -
_Nicoletta.
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Estate
C'è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell'erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.
Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un'erba che so,
con un tonfo. Cosí trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d'aria
e il prodigio sei tu. C'è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.
Ascolti.
La parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
Cesare Pavese. -
_Nicoletta.
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La scuola dei grandi
di Gianni Rodari
Anche i grandi a scuola vanno
tutti i giorni di tutto l'anno.
Una scuola senza banchi,
senza grembiuli nè fiocchi bianchi.
E che problemi, quei poveretti,
a risolvere sono costretti:
"In questo stipendio fateci stare
vitto, alloggio e un po' di mare".
La lezione è un vero guaio:
"Studiare il conto del calzolaio".
Che mal di testa il compito in classe:
"C'è l'esattore delle tasse"!. -
_Nicoletta.
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Le osterie
A me piacciono gli anfratti bui
delle osterie dormienti,
dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,
e i calici di vino profondi,
dove la mente esulta,
livello di magico pensiero.
Troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto
malvissuto e scostante,
meglio l’acre vapore del vino
indenne,
meglio l’ubriacatura del genio,
meglio sì meglio
l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite;
io amo le osterie
che parlano il linguaggio sottile della lingua di Bacco,
e poi nelle osterie
ci sta il nome di Charles
scritto a caratteri d’oro.
Alda Merini
(da "Vuoto d'amore").